Type de texte | source |
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Titre | Regole generali di architettura |
Auteurs | Serlio, Sebastiano |
Date de rédaction | |
Date de publication originale | 1537 |
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, « De gli ornamenti della pittura, fuori e dentro de gli edificii » (numéro libro IV, cap. XI) , fol. LXIXv-LXXr
Ornate dunque che saranno le mura, se si vorrano ornare i cieili voltati in diversi modi, sarà da seguire le vestigie de gli antichi Romani, i quali costumarono di far diversi scompartimenti, secondo i suggetti e secondo anco il modo delle volte, et in quelli facevano diverse bizzarie, che si dicono grottesche. Le quai cose tornarono molto bene e commode per a licenzia che s’ha di far ciò che si vuole, come sariano fogliami, frondi, fiori, animali, uccelli, figure di qualunque sorte, mescolate però con animali e fogliami tal volta separati in diverse attitudini ; facevano alcuni panni tenuti da esse figure, tal volte attaccati ad altre cose, et in quelli dipingevano quel che gli piaceva. Qualche fiata si può fare una figuretta finta di cameo, o altra cosa di simile materia, qualche tempietto et altre architetture si posson mescolare con queste, le quali tutte si potran fare nei cieli o di pittura colorite, o di stucco, o di chiaro e scuro, a volontà del pittore, e queste saranno senza riprensione alcuna, ché così hanno usato i buoni antichi, come ne fanno fede le antichità e fra l’altre Roma, Pozzuolo e Baie, dove ancora oggidì se ne vede qualche vestigio, et assai più se ne vedriano se la maligna et invida natura d’alcuni non le avessino guaste e distrutte accioché altri non avesse a goder di quello di che essi erano fatti copiosi ; la patria, il nome de i quali voglio tacere, che pur troppo sono noti fra quelli che di tali cose si son dilettati a nostri tempi.
Or fra coloro che sanno dipingere a questa maniera è Giovan da Udene, il quale è stato et è ancora tale imitatore dell’antichità in queste et inventor da sé, che nella perfezzion del tutto le ha ritornate : anzi ardisco a dir che in qualche parte abbia superata l’antichità, come di lui buon testimonio fanno le loggie sopra il giardin secreto del Papa a Belvedere in Roma, la vigna di Clemente VII a Monte Mario, la bellissima casa de’ Medici in Fiorenza, ornata da lui in diversi luoghi talmente che, con onor di tutti gli altri, questo si può dire più tosto unico che raro in tal professione, oltra che egli è ancora intelligente architetto e di buonissimo giudicio, come ingegnoso allievo del divin Rafaello.
Ma se pur ’l pittor si vorrà compiacer di far nella sommità delle volte qualche figura che rappresenti il vivo, sarà di bisogno ch’ei sia molto giudicioso e molto essercitato nella prospettiva : giudicioso in far elezzione di cose che siano al proposito del luogo e che si convenghino in tal soggetto, come sariano più tosto cose celesti, aeree e volatili, che cose terrene ; esercitato per saper fare talmente scorciar le figure, che, quantunque nel luogo dove saranno elle siano cortissime e monstruose, nondimeno alla sua debita distanzia si veggono allungare e rappresentare il vivo proporzionato. E questo si vede aver osservato Melozzo da Forlì, pittor degno, ne’ passati tempi in più luoghi d’Italia, e fra gli altri nella sacrestia di Santa Maria di Loreto, in alcuni angeli nella volta di cotal sacrestia. Messer Andrea Mantegna ancora nel castello di Mantova ha fatte alcune figure et altre cose, che si veggono di sotto in sù, con l’arte della prospettiva, accompagnate dalla discrezion del giudicio, che certamente rappresentano il vero ; nondimeno in tai soggetti si possono male accommodare istorie con figure confuse et unite, che chi le facesse discretamente separate, fariano l’ufficio loro ; nondimeno gli intelligenti pittori del nostro tempo hanno fuggito tali andamenti, perché nel vero (come ho detto) la maggior parte di ciò che io dico torna dispiacevole a gli occhi de’ riguardanti. E però Rafaello da Urbino, il quale in questa parte della composizione fu fra i rari rarissimo e di mirabil giudicio, in tanto che si giudica in questa parte non aver avuto pari, non che superiore, e pittor nel rimanente, come sempre lo chiamerò, divino, volendo ornar di pittura la volta di una loggia del detto Agostino Ghisi, fece nel nascimento delle lunette figure piacevoli, fuggendo i scorci, quantunque ei ne sapesse e ne intendesse quanto alcun altro. Ma quando fù alla sommità della volta, ancor che egli volesse fare un convito de gli Dei, cosa celeste et a tal proposito, nondimeno per dar vaghezza a chi mirava, togliendo via la durezza di tanti iscorci finse un panno di color celeste attaccato ad alcuni festoni, come cosa mobile, nel qual fece il convito sopradetto, con tal disposizione e giudicio, con tai movimenti diversi e colorite variate, che rappresentano il vero ; et è tanto bene accommodata tutta quell’opera insieme, che si può giudicar quella loggia più tosto uno apparato per qualche trionfo, che una pittura perpetua, fatta nel muro ; e se questa opera non fusse fatta con tal giudicio, ma semplicemente dipinta nella volta, tando in quel modo si potria comprendere che tutte quellle figure minaciassero di cadere. Per tanto l’architetto, che senza prospettiva non può ne deve essere, non ha da comportare, come superiore a tutti gli artefici, che nella fabrica nella qual lavorano, che ci sia fatta cosa senza giudicio e senza consiglio suo.
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